Di Flores Tovo
Se ormai solo un dio ci può salvare, perché mai, nel caso in cui egli si manifestasse, ci dovrebbe poi salvare? Forse l’umanità non ne ha già combinate tali e tante, che non sarebbe augurabile che piuttosto di un dio, si manifestasse un bel demone in carne ed ossa in grado di spazzarci via dalla faccia della terra una volta per tutte? Del resto è già capitato che in diverse epoche storiche gli uomini credessero più ai demoni che agli dei. Si pensi ai Tatari (chiamati poi Tartari) di Gengis Khan o alla guerra dei Trent’anni, o alla guerra civile russa del 1918-20, o alla Seconda guerra mondiale. Non ha vinto in questi casi il demonio ?
Certo che se si pone la questione della salvezza umana in questi termini, tale tipo di argomentazione potrebbe di primo acchito sembrare banale, in quanto potrebbe presentarsi come un semplice gioco in cui si scommette su dio o su un demone, quasi si trattasse di un gioco fra Manichei.
In realtà questa è la questione, come Heidegger aveva chiaramente delineato.
La follia demografica, la devastazione naturale e climatica, la criminalità spinta al massimo grado dalla finanza e la sempre più evidente penuria di risorse, non appaiono sempre più come le 4 bestie dell’Apocalisse? Lo si capirà definitivamente fra poco, al massimo fra 20 anni, quando gli umani saranno 10 miliardi e tutto il resto verrà di conseguenza. Nel momento in cui queste 4 catastrofi convergeranno in una, ci sarà una apocatastasi, ossia un ristabilimento originario, un ritorno ad un punto zero metafisico da cui potrebbe scaturire una palingenesi, una nuova nascita. Anche questo è già accaduto partialiter nella storia. In particolare si pensi alla caduta dell’impero romano d’Occidente, quando fra 1600 e 1300 anni fa (aboliamo una volta per tutte il dopo cristo), ci fu una caduta che riportò quella parte di umanità europea ad uno stadio zoologico, cioè al punto zero di cui si diceva. Rinacquero le gerarchie naturali: i guerrieri che non temettero la morte, i contadini che, avendola temuta, accettarono il servizio, i preti (purtroppo quei preti dell’inganno) che comunque si prestarono, pur nella loro ambiguità, al ripristino dell’ordine delle classi, secondo la loro attitudine naturale. I mercanti giunsero più tardi, quando la sicurezza dell’andare era stata di nuovo imposta. Si ritornò al principio “dell’ognuno il suo”, come aveva compreso, primo in Europa, Platone. Si ritornò quindi a vivere secondo le regole dell’essere.
Sarà ancora così? Potrà essere ancora così?
Le regole dell’essere sono le regole del dio: il dio venturo che parlerà agli uomini venturi non potrà che dire questo: la comunità prevarrà una volta per sempre sull’individuo; le gerarchie saranno stabilite da un lungo e difficile tirocinio; la proprietà privata sarà fortemente limitata dalle leggi ( si veda il programma economico in 20 punti della R.S.I). I mercanti dovranno diventare artigiani, i nuovi preti dovranno ritornare ad adorare i fiumi, i boschi, i monti. Chi condannerà il peccato carnale sarà bandito. Chi esalterà l’uomo sarà costretto ai lavori socialmente utili. Gli ultimi saranno di nuovo ultimi, ma non saranno disprezzati, se accetteranno il servizio.
Il dio venturo, semmai venisse, sarà certamente un incarnato, un avatara.
L’avatara, scriveva Guènon, è un incaricato dall’essere, che, con fatica, perché si sentirà come un esiliato, in quanto costretto, non dall’ amore verso l’ente (l’esserci umano) ma dal rispetto del sé a cui appartiene, a rivelare i principi fondamentali della trascendenza, che sono poi quelli dell’armonia, della spiritualità naturale (il senso –apollineo dionisiaco- della vita), dell’amore per il destino. Questo svelamento è pure quella alethèia (che significa appunto dis-velamento), che i grandi geni greci dell’origine interpretarono come verità parzialmente donata dall’essere all’ente. Si può allora dire che l’incarnato rappresenta e racchiude in sè la voce intima della natura che, pur nascosta, a volte si palesa in modi differenti a seconda delle epoche.
Occorre, a questo punto, precisare alcuni concetti fondamentali, se si vuole comprendere quello che si è detto. Intanto, in primis, bisogna chiarire che l’incarnazione così prospettata, nulla ha da vedere con la teoria dell’incarnazione cristiana. Infatti nella dimensione culturale giudaico-cristiana l’incarnato, il messia, è l’esplicazione della volontà del dio infinito, che attraverso un processo kenotico (la Kènosis è uno svuotamento divino) si finitizza in un ente umano. L’assurdità e la follia di tale pensiero sono evidenti. Si ritiene, infatti, che l’infinito, che è l’assoluto trascendente, l’eterno, l’indeterminato, o come affermò Cusano, la coincidentia oppositorum, si finitizzi, cioè diventi parte (una minuscola parte) incarnandosi in un uomo. Il dio provvidente, il redentore, il dio persona è stato in realtà partorito dalla mente di coloro che vivevano tra le dune sabbiose. L’angoscia di un nulla naturale ha spinto questi uomini del deserto a concepire un dio che curasse il loro delirio causato da uno yang troppo violento. Il dio che ama, che consola, che punisce, che odia è quella raffigurazione immaginifica che Feuerbach definì come il dio ottativo (il dio che si desidererebbe essere), il dio che nasce dalla alienazione umana, un dio che si cristallizza in questa trasfigurazione malata.
L’infinito, come assoluta trascendenza, come unità metafisicamente semplice, è al di là di ogni parte, comprendendo il tutto ciò che è e che non è. Esso si pone eternamente ed è l’ origine dei due principi primi, secondi solo a lui, che sono appunto l’essere e il non-essere, cioè il principio della manifestazione e della non-manifestazione, che sono, in parole semplici, la vita e la morte.
L’essere e il non-essere sono due opposti complementari e combacianti. Nel capitolo secondo del “Tao te ching” è scritto: “…l’essere e il non-essere si generano l’uno l’altro…”. Il Tao, la via ineffabile (l’uno infinito), contiene il gioco della vita e della morte che perpetuamente si risolve e si dissolve.
A questo punto è possibile comprendere il vero significato del concetto di incarnato. Egli può essere solo una manifestazione dell’essere che momentaneamente si individualizza nello spazio-tempo. Egli sarà nient’altro che un semi-dio, come ben avevano capito i popoli nel mondo antico quando seguivano, adorandoli, i vari Eracle, Eros, Dionisio, Achille, Enea, Krishna, ecc. . Essi erano i semidei che spesse volte indicavano loro la via della salvezza, del futuro e della pienezza del vivere.
Gli avatara del nostro mondo sono invece i giocatori di pallone, i tennisti o i piloti. Altri in giro non se ne vedono. Forse ce ne sarà qualcuno fra i pastori Masai, o i pescatori delle Andamane, o i nomadi della taiga che probabilmente sanno ancora ascoltare le voci lontane. Chissà.
Intanto il tempo dell’attesa sta per scadere.
Tovo Flores
f.tovo@libero.it
Veramente illuminante! Grazie professore! Luca
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