Di Enrico Marino
Ci eravamo fatti l’idea che Monti fosse realmente intenzionato a tornare ai suoi studi, considerato che l’ipotesi di un reincarico era stata più volte e seccamente esclusa proprio dal premier in carica.
D’altra parte, la convinzione che la politica interpretata dai tecnocrati liberisti al potere non fosse una parentesi congiunturale ed eccezionale, ma rappresentasse una ben più robusta stagione costituente era fondata con solidissimi presupposti nel sostegno bipartisan al monetarismo della Banca centrale europea, nelle norme capestro del fiscal compact e nella costituzionalizzazione del pareggio di bilancio, in una politica economica imperniata sulle privatizzazioni, nell’assalto scatenato contro il welfare e contro tutte le più rilevanti conquiste del lavoro, dal contratto nazionale allo Statuto dei lavoratori, il tutto in una cruda versione american-style condita con le ricette rigoriste del Fmi.
Alla fine, le convulsioni del Pd, sfibrato dagli inestinguibili conflitti interni, hanno spinto i mentori di Monti ad uscire allo scoperto e a chiedere all’uomo della Goldman Sachs, della Trilateral, del Gruppo Bilderberg, di restare al suo posto e di continuare a recitare il copione impostogli dal capitalismo internazionale.
E Monti ha obbedito. “Voglio che i mercati sappiano che io sono lì”, ha detto e ripetuto, con toni morbidi, ma dal significato inequivocabile. Anzi, sciogliendo ogni riserva s’è dichiarato pronto (generosamente!!) a sostenere il peso di un nuovo mandato qualora vi fosse richiesto.
La commedia messa in scena a New York davanti al gotha finanziario di Wall Street, alle agenzie di rating, ai colossi industriali, all’establishment politico e al circo mediatico d’élite lì convenuti per l’occasione, è servita a rassicurare i mercati, i manovratori per nulla occulti della speculazione e la grande finanza globalista.
Il messaggio è dunque questo: non è più tempo di intermediari, di controfigure e non basta la conclamata conversione di fede liberista di un Pd dato per vincente alle prossime elezioni. I poteri forti chiedono che sia il loro personale referente a custodire direttamente lo scrigno, a mantenere saldamente il bastone del comando. C’è, invero, il fastidioso incomodo delle elezioni, che Monti non vuole affrontare come parte in causa, difendendo il suo abusato carisma di uomo super partes, pronto semmai a ricevere una nuova investitura dall’alto, mallevadore Giorgio Napolitano che vorrebbe prolungare sine die questa totale abdicazione della sovranità popolare.
L’esternazione di Monti ha gettato nello sconforto Bersani e l’intera, potenziale coalizione di centrosinistra, che sentiva ormai di avere offerto – col sostegno al premier e a tutte le sue scelte politiche – ampie e precise garanzie circa la propria fedeltà alla strada tracciata dal commissario.
A completare il grottesco siparietto, Berlusconi, da attore consumato, respirata l’aria, s’è smarcato e, dopo avere sottoscritto ogni cambiale pretesa dalla Bce e sostenuto il governo dei professori e le loro riforme scellerate, ha riproposto la farsesca contrapposizione con la sinistra, coi “comunisti”, riesumando l’idea di un fronte dei “moderati”, oscena aggregazione nella quale potrebbero confluire Casini o addirittura lo stesso Fini, suggerendo di affidarne la guida all’uomo della Bocconi.
Sembra un quadro conflittuale e incerto, in realtà è una trovata diabolica che mette sul piatto degli elettori due ricette apparentemente contrapposte ma in realtà parimenti avvelenate e letali.
Da una parte il Pd a far da guardia al bidone delle ricette mercatiste, senza neppure riscuotere il plauso dei proprietari universali che, malgrado tutto, neppure ora si fidano, dall’altra un centrodestra plasmato sulle ricette montiane e addirittura disponibile a offrirgli lo scettro del comando di un esecutivo “politico”, apparentemente contrapposti in un fittizio duello di cartapesta.
In realtà, chiunque vinca non cambierà nulla perché applicherà comunque la stessa amarissima ricetta.
La destra, anzi un movimento nazionale e sociale, può (deve) avere perciò uno scopo, una linea alternativa, se non ancora una teoria compiutamente organizzata da fare valere, con cui parlare a masse di popolo impoverite e confuse alle quali non serve che qualche burocrate si faccia cooptare nel palazzo del potere per svolgere la più insignificante ed autoreferenziale testimonianza nell’interesse dei poteri finanziari antinazionali.
Al mondo del lavoro, ai giovani serve un riferimento politico capace di rendere coeso ciò che oggi è disperso, frantumato, diviso, serve un orizzonte di ideali, una speranza di avvenire. Un riferimento sociale contro le logiche capitaliste e finanziarie che umiliano il lavoro, un movimento nazionale contro le spinte globaliste e livellatrici che soffocano le identità e le gerarchie naturali.
Chi verrà dopo di noi non potrà perdonare chi declina questa responsabilità, chi manca di questa intelligenza e di questo coraggio
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