di Mario M. Merlino
2 novembre. C’è un sole, timido e pallido, nel cielo apertosi dopo giorni grigi di pioggia. Una leggera brezza porta odore di mare. Le foglie si accartocciano e giocano con l’erba alta del prato. Siamo qui, piccola comunità raccolta e commossa, con la bandiera della Repubblica, quella sola a cui va la memoria e gli affetti, e con il gagliardetto azzurro e al centro il teschio ridente con la rosa rossa fra i denti. Qui, dopo inesauste battaglie e insistenze burocratiche, l’Onorcaduti ha concesso che venissero sepolti in cassette di zinco cento marò del btg. Barbarigo, caduti sul fronte di Nettuno. C’è Alberto Spagna della I Compagnia, di anni 18, il giorno stesso in cui si sono dislocati nelle buche lungo il canale Mussolini, 5 marzo 1944, alza la testa incuriosito e un cecchino, nascosto fra i ruderi di una casa, lo centra in fronte. C’è Umberto Bardelli, Capitano di Corvetta e comandante del battaglione. Riposa fra i suoi giovani soldati, sebbene sia stato ucciso in Piemonte, nella piazza di Ozegna, l’8 luglio ’44 dal tradimento partigiano e il suo corpo fatto scempio. Ci sono sei di loro rimasti ignoti, un siciliano di certo che a Raffaella Duelli, l’ausiliaria che s’era presa cura di raccoglierne le spoglie, malamente sepolte in sacchi di tela e poche palate di terra, scrive il figlio ricordando di non aver mai conosciuto il padre, egli era ancora nel grembo materno, ma di sapere che indossava la divisa della Decima ed era stato dato per disperso sul litorale laziale.
Ci sono le autorità del luogo. Il vicesindaco di Anzio con vigili in uniforme e cuscino di fiori, rappresentanze d’arma in divisa e non. Dopo la benedizione e un breve saluto del vicesindaco, breve e insignificante, leggo il messaggio inviato da Franco Grazioli, III Compagnia btg. Lupo a ricordo dell’amico Ugo Franzolin.
‘Caro amico, camerata di molti anni trascorsi in un sodalizio di ideali e di fede. Noi che conserviamo integro nel nostro animo lo spirito della nostra terra che fino all’ultima battaglia abbiamo difeso pietra su pietra, zolla dopo zolla, e, al termine, la sconfitta che ci ha fatto piangere. Tu, soldato ora silente nell’eterno riposo, in questi momenti di amore patrio e di fratellanza oggi dolente, ci riporti a vivere la nostra storia rimasta scolpita nei cuori di noi combattenti. Amico, ora che il dialogo con te continua, affiora il ricordo di quel giuramento che in noi è maturato incondizionato negli anni. Ricordi? Noi non saremo mai diversi da quello che siamo stati. Amico, fratello dei tempi d’oro della nostra esistenza e del nostro passato di guerra, di lavoro, di famiglia e di poesia… Accogli in questo mio saluto, che non è un pianto, bensì, fratello, un perenne ricordo di te’.
Franco Grazioli, tornando in caserma lungo una strada buia di Milano, pochi giorni prima che il suo battaglione partisse per il fronte del Senio, Linea Gotica, viene aggredito da sconosciuti che, puntandogli la pistola al petto, pretendono di impossessarsi della sua. Al rifiuto un colpo che gli trapassa un polmone. Al risveglio, in ospedale, la sua prima preoccupazione è che non vi siano riusciti. Il campo di prigionia, il ritorno a casa, il senso di estraneamento, l’arruolamento nella Legione Straniera, l’Indocina, Dien-bien-fu, l’Algeria…
Tante storie che corrono il rischio di essere trascinate via, simili appunto alle foglie che si accartocciano e giocano con l’erba alta del prato. Tante storie, al contrario, di coloro che ci hanno preceduto e a cui dobbiamo l’eredità di idee lotte esempi testimonianza, senza di loro saremmo stati più poveri dispersi vittime dell’oggi, di questo presente così vile e squallido…
Le autorità se ne vanno presto, devono onorare altri cimiteri, ad esempio, quello americano. E’ già tanto che sono venuti, magari perché ci si predispone alla campagna elettorale… Se ne vanno le rappresentanze militari, i carabinieri, la macchina di polizia che sostava oltre il muro. Restiamo soli. No… ecco che arriva Terenzio Manni, con i familiari, portato dal figlio nell’urna cineraria. Silenzioso discreto garbato com’è stato in vita, come lo s’incontrava qui, al Campo della Memoria, ogni volta che ci si radunava, che c’era una cerimonia. Terenzio Manni, classe 1927, che si arruola direttamente nella Wehrmacht, divisione Hermann Goering. Divisione corazzata che s’era battuta in Sicilia, a Sorrento, sulla linea Gustav ed anche intorno a Cisterna e lungo la dorsale dei Castelli Romani. Ed ora ha chiesto che le sue ceneri vengano disperse in questo luogo per poterlo condividere con i suoi camerati, con coloro che hanno fatto dell’Onore cifra in vita e in morte.
Torno a Roma. Sono seduto al tavolino del bar, nella piazza vicino casa, un bar che fu storico ritrovo del cameratismo negli anno ’50 e ’60. A qualcuno giunge una telefonata… Vi sono morti ai quali deve andare il nostro debito proprio perché ci hanno insegnato ad essere ‘in piedi fra le rovine’ e riposano ovunque è stato possibile dare loro sepoltura… vi sono altri a cui, senza rancore e rispetto comunque, non possiamo non vogliamo non dobbiamo elevarne la memoria a testimonianza del nostro essere qui ed ora e per sempre uomini in cammino uomini contro uomini in camicia nera…
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